venerdì 2 ottobre 2009

IL CACCIATORE DI PROFESSIONE

La caccia nelle nostre campagne, per tradizione è legata al mondo contadino, cioè alla vita del podere. Era infatti un esercizio fondamentale per la sopravvivenza ma c'è da ricordare un aspetto fondamentale ovvero che la coltivazione del podere creava un ambiente adatto alla selvaggina stanziale e migratoria. Il podere occupava areee molto vaste di territorio ed era molto diffuso così da creare una vastissima superficie molto adatta alla caccia. Era un'area geografica che comprendeva la Toscana, l'Emilia Romagna, l'Umbria, le Marche e parte del Lazio ( regioni che hanno una tradizione venatoria molto radicata). L'esercizio della caccia poteva diventare anche lavoro con la figura del cacciatore di mestiere, di solito un giovane ribelle che decideva di cambiare vita perché rifiutava le logiche di sottomissione del “capoccia” o del “padrone”. La sua ribellione nasceva come critica sia al ruolo del capofamiglia la cui parola era legge, che da un mondo mezzadrie anacronistico. Abbandonata la casa paterna egli si costruiva un capanno ( su modello ed esperienza del capanno di caccia) e si dedicava alla pesca, alla raccolta di frutti selvatici, alla caccia sfruttando quanto la natura poteva offrire. La sua conoscenza del territorio e dell’attività venatoria gli permettevano di accompagnare i signori cittadini durante le battute di caccia per farli divertire e raggiungere un carniere importante. Il periodo storico in cui si colloca la sua figura è di grandi cambiamenti sia sociali che territoriali: le grandi bonifiche e il forte inurbamento hanno portato ad una diminuzione drastica della selvaggina (stanziale e migratoria) così da ridurre molti tipi di caccia determinando il tramonto anche della figura del cacciatore di mestiere.

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