.. Un necessario complemento umano gli mancava, nella sua vita di cacciatore: un cane. C'ero io, che mi buttavo per le fratte, nei cespugli per cercare il tordo, il beccaccino, la quaglia, caduti incontrando in mezo al cielo il suo sparo, o anche le volpi quando, dopo una notte di posta, ne fermava una a coda lunga distesa appena fuori dai brughi. Ma solo qualche volta io potevo scappare e raggiungerlo nei boschi...
Cosimo dunque andava a caccia quasi sempre da solo, e per recuperare la selvaggina ( quando non succedeva il caso gentile di un rigogolo che restava con le gialli ali stecchite appese ad un ramo), usava delle specie di arnesi da pesca: lenze con spaghi, ganci o rami, ma non sempre ci riusciva e alle volte una beccaccia finiva nera di formiche in fondo al roveto.
Ho detto finora dei compiti del cane da riporto. Perchè Cosimo faceva quasi soltanto caccia da posta, passando mattine e nottate appollaiate su di un ramo, attendendo che il tordo si posasse sula vetta di un albero, o la lepre apparisse in uno spazio di prato. Se nogirava a caso, seguendo il canto degli uccelli, o indovinando le piste più probabili delle bestie da pelo. E quando udiva il latrato dei segugi dietro la lepre o la volpe, sapeva di dover girare al largo, perchè quella non era bestia sua, di lui cacciatore solitario e casuale.
Italo Calvino Il barone rampante
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