mercoledì 21 ottobre 2009

LA CACCIA IN TOSCANA ALL’EPOCA DEL GRANDUCATO

Durante l’età barocca per un raggio di dieci miglia attorno alla città di Firenze non si poteva cacciare ‘con archibusi a ruota o corda a lepri, capri, cervi e cinghiali, o altri animali grossi servatichi’. Una regalia concessa dai granduchi alle famiglie nobili proprietarie terriere, fu quella delle bandite di caccia e pesca …
La difesa del patrimonio faunistico coincideva con la tutela dell’ambiente, perché le risorse venatorie ed ittiche dovevano essere sfruttate razionalmente, consentendo il ripopolamento della selvaggina. Nelle bandite era vietato l’utilizzo dei cani liberi se non con un collare attaccato ad un bastone di legno, che era lungo almeno un braccio, e che rendeva l’animale meno veloce. La caccia era permessa dal primo ottobre al primo giorno di quaresima, ed era regolata in modo da non disturbare le operazioni della semina, della coltivazione, e della raccolta dei prodotti agricoli …
Il Barco Reale della villa di Artimino divenne la principale bandita medicea, e si caratterizzò per il fatto di essere completamente circondato da un muro lungo 30 Km, posto a protezione di cinghiali, lepri, starne, fagiani, e daini bianchi, ma anche per evitare danni all’agricoltura recati dagli animali selvatici.




Tratto da:

Zangheri, Luigi, Storia del giardino e del paesaggio. Il verde nella cultura occidentale, Firenze, Leo S. Holschki, 2003, pagg 123-125


Chiara Mazzei

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